Massimiliano M. Maggi

Non c’è niente da festeggiare

Il corso della mia città, durante certe sere d’autunno, pare un lungo scivolo interminabile verso la rassegnazione. Le voci sfiancate del vino si piantano sui sampietrini come semi di gramigna.

Eravamo seduti al bancone del Bar Centrale: io, Jay e Mattaria. Mattaria ci si accollava tutti i martedì. Io e Jay – che lavoriamo insieme e il mercoledì abbiamo il giorno libero – cenavamo al bar e facevamo le ore piccole, bevendo. Lui normalmente si palesava intorno all’una, completamente sbronzo. Non ci metteva molto, a sbronzarsi, perché aveva cominciato a bere a dodici e ne aveva cinquantotto. Debole, amichevole e innocuo, Mattaria assisteva in uno stato di semi coscienza alle nostre conversazioni, limitandosi ad annuire o, al massimo, a pronunciare qualche sentenza sconnessa, tipo: “Io non mangio gli asparagi, sennò mi puzza il piscio”. Oppure: “Volevo solo guidare il camper di mio zio”. O ancora: “Meglio una donna con il cazzo di un uomo con la fregna, credo”.

Quella sera disse: “Io non ho mai festeggiato il mio compleanno”.

“Davvero, Mattarì?” domandai.

“Davvero. Il mio babbo dice sempre che non c’è niente da festeggiare”.

Il babbo di Mattaria è uno dei più giganteschi pezzi di merda che la storia abbia mai cacato. Da bambino si dice lo lasciasse per ore legato ad una gamba del tavolo della sala, presentandosi solamente per frustarlo con un cinturino di cuoio. Lui e mia madre avevano fatto la scuola di musica insieme. Mattaria era un ottimo chitarrista. Poi suo padre gli sfasciò la chitarra sulla schiena e da allora non suonò più.

Fatto sta. Jay gli propose di festeggiare il suo compleanno per la prima volta. Guarda caso cadeva a poche settimane. Ne fu molto entusiasta.

Ci mettemmo di buona lena per organizzare tutto alla perfezione. Prenotammo la saletta del Centrale. Invitammo una quarantina di persone. Baristi, camerieri e osti, per la maggiore. Ingaggiamo un duo chitarra e voce che avesse nel repertorio dei pezzi blues. A lui piacevano tanto. La mattina della festa aiutammo Antonio – il proprietario – ad agghindare per bene la baracca.

Mattaria scoppiò in lacrime non appena mise piede nel locale. E per tutta la notte bevve e danzò come un ragno epilettico. All’alba, quando il gruppo annunciò l’ultima ballata, strappò il microfono di mano alla cantante, si arrampicò goffamente sul bancone e disse: “Adesso vi faccio vedere il blues” o una roba del genere.

Il tempo di improvvisare, poveramente, due passi di danza e perse l’equilibrio. Cadde a faccia in avanti con una violenza inaudita, piantandosi di muso sul ripiano di vetro come un paletto sul parabrezza di una macchina.

Ci vollero due ore e sette paramedici per tirarlo fuori. Lo ricoverarono d’urgenza in rianimazione.

Morì tre giorni dopo.