Sharon Vanoli

Sombre

La donna e l’uomo stanno camminando in un viale alberato del centro. C’è una luce calda, pervasiva – la luce della sera, che è sempre così piena di amore. Lui procede con passi nervosi, a singulto, e guarda le fessure tra i ciottoli ai suoi piedi per non guardare la folla – vorrebbe scansarla scuotendo le mani per aria come si fa con gli insetti. Lei ha un rapporto molto diverso – molto più intimo – con la ressa dei corpi. Prova di continuo euforia. Stupore, e un istante dopo euforia. Le sembra che la vita degli altri stia attraversando non solo la strada, ma anche lei. Pensa felicemente a se stessa come a un palo della luce, o a un semaforo. Con rapidi scatti, entra ed esce dal mite mondo degli oggetti. Distratta da queste considerazioni, ha rallentato fino a perdere di vista l’uomo. Corre di fronte a sé nel solito panico che la assale quando un pensiero divertente la abbandona. Lui la sta aspettando, poco oltre; ha sfilato due sigarette dal pacchetto azzurro e, con il braccio in sospensione, ne tiene una a mezz’aria, in direzione della donna. Lei immagina che un passante la stringa tra l’indice e il medio e prosegua come se niente fosse: ecco un altro pensiero divertente. Quando raggiunge l’uomo, sta ancora ridendo e scorda del tutto di afferrare la sigaretta. Riprendono a camminare. Lei scuote più volte il braccio del compagno e offrendo la bocca al suo orecchio gli mormora domande incalzanti. Ti rendi conto che un giorno sarai un teschio? Che un giorno lo sarò io?, dice. Nella sua voce risuona un’autentica esaltazione. Nessuna angoscia, no: pensarsi morta le ha sempre destato meraviglia, e una punta di soggezione – è il rispetto che si deve alla morte. Che è una meravigliosa avventura. L’ultima, meravigliosa avventura. L’uomo ha risposto scrutandola con la punta dell’occhio, poi ha ripreso a fissare il suolo. Dalle fronde dei platani, sopra le loro teste, viene il canto febbrile degli uccelli. Lei sospira – di piacere e di malinconia. Ma soprattutto di piacere: da quando è piccola, è convinta di avere un nido di rondini fervide al posto del cuore.
In fondo al viale, c’è un locale poco economico dove l’uomo desidera fermarsi ogni volta che passano di lì, e dove ordina sempre un superalcolico artigianale che alla donna sul momento non piace – il liquido è scuro, con sfumature torbide che non si ibridano mai del tutto: appena lo vede, lei pensa a un buco nero liquefatto. Ha il sospetto che quella cosa esista davvero, da qualche parte nell’universo, e che la stia aspettando: non è un pensiero divertente. Sul momento non le piace, ma poi, più tardi, a casa: sì. Sulle labbra dell’uomo il liquido prende un sapore candido e dolciastro, e la donna ha un immediato, tremendo desiderio di sentirselo ovunque, su ogni centimetro della cute. Senza che ci sia bisogno di dire alcunché, l’uomo lo fa – lui è in tacito accordo con la zona oscura di lei.
Il locale è stranamente affollato. Un cameriere dalla fronte lunga quanto il resto del viso, li accompagna all’unico tavolo rimasto libero, nel centro esatto della sala. L’uomo si accomoda stringendo le labbra: devoto all’educazione, non vuole concedersi di sbuffare. La donna è così grata al posto scelto dal cameriere che vorrebbe saltellare. Sa che non può farlo. Concede però ai piedi di tamburellare sul pavimento in modo incontrollato. Dopodiché, inizia a guardarsi intorno. Lentamente, e respirando piano: sta facendo un grande sforzo di calma. Il chiasso delle voci è tale che non riesce a isolarne nemmeno una. Allora si concentra sui movimenti delle bocche. Quella signora, per esempio, seduta accanto alla vetrata, che cosa sta dicendo? Sporgendo il busto in avanti, sussurra maliziosamente qualcosa al volto maschile che le sta di fronte. E quell’uomo solo, invece, al bancone, che cosa sta ascoltando? Sorreggendo il capo con il braccio, poggiato sulla superficie di marmo, ha l’orecchio a un centimetro dal grosso calice di vino che ha quasi terminato di bere. Chiude gli occhi, assonnato. Oppure assorto. Oppure assorto, ripete dentro di se la donna, compiaciuta. Ha questa improvvisa intuizione: l’uomo al bancone sta ascoltando la voce del vino. Forse sente le sirene. Come biasimarlo?, la donna si chiede, prima di cercare un’altra bocca da esplorare. Sa che a breve dovrà interrompere il gioco: gli eccessi di gioia le costano grande sofferenza, e il suo cuore di rondine rischia continuamente di prendere il volo. Eppure. Eppure la vita degli altri è tanto irresistibile che potrebbe continuare a violarla per tutta la notte. Intanto sfiora delicatamente il bordo rotondo del tavolo. Le torna in mente la sua antica passione per le figure geometriche. Da piccola coltivava questo sogno, che il pediatra giudicava psicotico e sua madre geniale – sua madre era un tipo divertente. Sognava di divenire una figura geometrica. Sul grande letto matrimoniale dei genitori, si allenava a riprodurne le forme con il proprio corpo. Per la linea era sufficiente sdraiarsi o eseguire una verticale; dalla posizione verticale, piegando le gambe e facendo combaciare le palme dei piedi, si imitava facilmente il triangolo. Il cerchio no, non era facile da imitare.
Mentre la donna pensa con dispiacere che non sarà mai un cerchio perfetto, l’uomo sorseggia il liquido scuro. È silenzioso, come sempre. Lei è tentata di intingere il dito nelle sue labbra torbide, ma esita. Si domanda perché. Lui la lascerebbe fare – coglierebbe, nel gesto, la natura di scherzo e non di lussuria. La lascerebbe fare – sa che le stravaganze della donna sono profonde. Profondamente sincere. E tuttavia, lei esita. Osserva un’altra volta i riflessi ombrosi del liquido sulla bocca dell’uomo, leggermente schiusa. Per un attimo, è certa di averla vista spalancata, come grosse fauci bramose. Che il buco nero la stia chiamando? Pensa agli infiniti baci che la attendono nel buio della stanza, più tardi. Intanto gratta freneticamente il bordo liscio del tavolo. L’uomo se ne avvede, con sguardo intenso ora la osserva. Un lieve tremito la scuote tutta.